Gliu Suffiu Suffiu, tra riti religiosi e pagani nelle tradizioni

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Foto di Gabriella Giuseppini

Sono trascorse da poco le Festività Natalizie e come sempre nei giorni successivi rimane in noi quella sensazione di calore e serenità che, nonostante tutto, questo periodo ci lascia dentro.

Nei Borghi del Turano, un tempo neanche troppo lontano, la comunità era solita riunirsi e ritrovarsi per trascorrere insieme con famiglia, parenti e amici questi giorni di festa.

Nei vicoli, spesso innevati, si sentiva l’odore dei camini accesi, il chiacchiericcio di giovani e anziani, perlopiù residenti del luogo, intenti a raccontare il loro passato e le voci dei bimbi riempivano l’aria.

Proprio di quei bambini vogliamo raccontare. Nel periodo tra Natale e Epifania prendevano vita tradizioni che ancora oggi vengono mantenute e tramandate in borghi come San Lorenzo di Collalto Sabino e in tutti i borghi della Valle del Turano. Tradizioni come la Pasquarella, la notte del 5 gennaio.

Per i più piccoli un rito simile aveva luogo la notte prima di San Silvestro ed erano momenti completamente dedicati ai loro sorrisi. In quella notte, i bimbi passavano di casa in casa per ottenere cibo e dolcetti che avrebbero poi condiviso, cantando una filastrocca in dialetto. A quei tempi non c’era molto di cui vivere e questo era anche un modo per rimediare qualcosa da custodire poi in casa nell’arca di legno in cui la famiglia conservava i viveri. Questo rito nel passato era inteso come propiziatorio per i nuovi raccolti e per il nuovo anno in arrivo.

Un dolcissimo racconto, con cenni alle origini di questa tradizione, ci arriva da Claudio De Santis, Sanlorenzano DOC da sempre dedito a scovare e conservare documentazione storica delle origini di San Lorenzo con la sua instancabile attività di ricerca. Claudio ha raccolto i ricordi proprio di due di quei “monelli” che scorrazzavano nel borgo con la loro combriccola, Sergio Ceccarelli e Celestino Giuseppini.

Buona lettura.

Le nostre Terre sono ricche di storia e tradizioni con radici ben salde in tempi antichi in cui il rito propiziatorio era benaugurale per l’anno in arrivo, per il bene della comunità e per i raccolti.

Come per il rituale pagano di Halloween che, sebbene festeggiato a fine ottobre, segna il passaggio tra il vecchio ed il nuovo anno, anche i rituali “nostrani” di propiziazione per le attività della semina e della raccolta, essendo legati ai cicli stagionali e festivi, con il tempo, sono stati in parte raggruppati in concomitanza delle festività cristiane del Natale e dell’Epifania che rappresentano uno dei predominanti simboli cristiani di rinascita e di cambiamento. I bambini che incontrano gli adulti sono una costante in quasi tutti i rituali in questione, così come i cicli calendariali legati ai cambi delle stagioni e delle annualità che vanno di pari passo con i cicli della vita e con il generale augurio che il rinnovamento della natura e della comunità sia, di anno in anno, sempre favorevole alle sorti della collettività del borgo. Caramelle, dolcetti, doni alimentari erano i semi che sarebbero nati durante l’anno successivo in segno di forza, rinnovamento e rinvigorimento della comunità insieme alla rinascita della natura da cui la comunità stessa traeva risorse e sostentamento per la propria esistenza.

Così come esisteva una Pasquarella degli adulti che si svolgeva il 5 gennaio, alla vigilia dell’Epifania, allo stesso modo esisteva una sorta di Pasquarella per i soli bambini che si svolgeva il 30 dicembre. I vecchi riti pagani di propiziazione si sovrapponevano, dunque, alle festività del Natale che, per i cristiani, simboleggia rinascita di Fede e di Speranza.

Nella Pasquarella del 5 gennaio, i cantori del piccolo borgo intonavano in ogni casa visitata un testo che faceva riferimento anche ai simboli cristiani del Natale come ai doni dei re Magi. Allo stesso modo “Gliu Suffiu”, che vedeva protagonisti gli adolescenti del borgo, nella sera del 30 dicembre, può essere considerata una versione della Pasquarella dedicata esclusivamente ai bambini, i quali, visitando le case dei paesani, intonavano tutti insieme la filastrocca “degliu Suffiu” che altro non era che una esplicita richiesta di doni alimentari ai padroni di casa i quali, secondo le proprie possibilità, contribuivano alla loro felicità.

I bambini, terminata la raccolta presso le abitazioni del borgo, consumavano tutti insieme i doni alimentari ricevuti, trascorrendo così momenti in allegra compagnia.

“I monegli de San Lorenzu, durante la sera degliu 30 degli’urtimo mese degli’annu vecchiu, teneano l’usanza de ì girenno pé le casi cantenno na filastrocca pé chiee caccosa de dorce o de salatu da spartì insemmora agli atri a casa de cacchiuno. Quigli non eranu tempi de sovrappiù e quigliu era nu modu pé portà alligria pelle vie degliu paese e ventro le casi ma era pure nu modu pé remiddià caccosa.
Difatti, la gente offrea o n’ovo o un portugagliu o nu puigliu de caciu o de carammelle o caccosa che remiddieano ventro l’arca do’e teneano lo pane e le atre cose agliu friscu. Ci stea però pure chi gli dicea che non tenea niente, ed era veru, ma i monegli ce rimaneano male pecchè non capeano se lo diceano pé tirchieria o pecché non lo teneanu veramente.” La filastrocca dicea cucì:

JEMO PE’ SUFFIU SUFFIU
JEMO PE’ PATALUCCU *
JEMO PE’ LA TERRA
SEMO TUTTI ‘NVUSSI
DETECE NU BON FOCU
CE RESCALLEMO NU POCU
DETECE NA FIAMMA
CE RESCALLEMO L’ALMA.
ADDEMA’ E’ SAN SILVESTRU
CI GLIU METTEMO IN PETTU.
MEZZU VENTRO E MEZZU FORE
QUISTU VITU NUN CE DOLE
SALI AGLIU ARCONE
E DACCE NU SARGICCIONE
SALI ALLA PRITULICCHIA**
E DACCE NA SARGICCIA

  • *Il patalocco o bracalaccio è tutt’ora un tipico dolce di Spoleto che, un tempo, rappresentava la tipica merenda dei nostri nonni. Preparato in casa con ingredienti semplici, si trattava di frittelle farcite, secondo i gusti e le possibilità, con cioccolata, miele o in alternativa marmellata.

**La pritulicchia era lo sgabello usato per mungere le mucche o le pecore e si usava in casa anche a mò di scaletta.

Nella tradizione umbra, l’analoga filastrocca terminerebbe, nel caso in cui il padrone di casa non avesse mostrato disponbilità a donare qualcosa, in questo modo:

CIRINGO’ CIRINGO’
CE LO DAI SCI O NO
E SE NO’ CELLO VO DA’
NO’ CE FA CCHIU’ ASPETTA’.

Non a caso è stato fatto riferimento anche alla tradizione umbra. Infatti, le tradizioni culturali e dialettali di San Lorenzo risalgono ai tempi lontani del Ducato di Spoleto istituito dai longobardi in Italia nel 570 e sopravissuto in forma fiorente fino al 774. Il Ducato di Spoleto, in ambito territoriale, fu caratterizzato da confini incerti che mutarono ripetutamente per diversi secoli fino ad essere annesso nel 1198, in forma territoriale ridotta, allo Stato Pontificio di cui ne divenne Provincia.
Con la caduta del Regno Longobardo nel 774, il Ducato di Spoleto, passò sotto il controllo dei Franchi prima e della nobiltà pontificia poi e finchè non fu disgregato del tutto riuscì a comprendere nel proprio territorio parti delle odierne regioni: Lazio, Abruzzo, Umbria e Marche. Anche il territorio di Rieti fece parte del Ducato di Spoleto e questa è la ragione per la quale le tradizioni del nostro piccolo borgo hanno le stesse radici storiche di analoghe usanze dell’Italia centrale.

Lo spopolamento dei piccoli borghi rurali rischia di far perdere la memoria storica delle proprie radici. La vita frenetica nelle città, diventate ormai accentratrici delle attività economiche, non lascia il tempo per ritrovare sé stessi, tempo che inesorabilmente inseguiamo e che nel quotidiano non basta mai.

Soffermiamoci nei ricordi di infanzia vissuta tra i vicoli dei borghi in cui sono nati e cresciuti i nostri i nonni e in cui anche i nostri genitori scorrazzavano felici in giornate baciate dal sole di agosto. Non perdiamo la memoria.


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